Coltivo dove tutti han detto che non cresce un cazzo
Uscire dalla comfort-zone o non uscire, questo è il dilemma
Bentornati su PAPER BOI, oggi torno a fare una di quelle cose che più mi mancano di scrivere per una redazione: una “recensione”. Pensavo, tra l’altro, di creare un mini-spin-off domenicale in cui recensisco tre album random, è solo un’idea, ma qualora vi interessasse let me know. Partiamo.
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Fin da quando sono ragazzino, andare in studio con un artista è una delle cose che mi mette più ansia del mondo. In pratica, per situazioni contingenti o proprio in seguito a un avviso, ti trovi in 3 mq ad ascoltare il più delle volte in solitaria con chi ha creato ciò che esce dalle casse, il lavoro di un anno o giù di lì e, con un solo ascolto, fuori dalla tua comfort zone abituale, con gli occhi puntati addosso, ti senti il dovere di dare un parere intelligente su quello che hai appena ascoltato. E magari il parere intelligente neanche lo hai.
Negli ultimi giorni prima della clausura forzata, mi è capitato di bazzicare negli studi/uffici di Undamento, per questioni più o meno lavorative - tipo ascoltare Ski & Wok con Koki - e uno di questi giorni mi è capitato che in una delle rare uscite dallo spazio adibito a registrazione di Frah, mi chiedesse se avessi voglia di ascoltare ciò che aveva nel cassetto: Contento e Buio di Giorno.
Esclusi i miei conterranei, Frah è stato uno dei primi rapper che ho conosciuto al di là del lavoro, il primo con cui mi sia bevuto una birra, il primo che io abbia dovuto tenere per la collottola affinché non si tuffasse nel porto della Barcellona d’Italia aka Genova, il primo con cui io abbia creato un’etichetta - inteso proprio come una categoria - che poi abbia avuto un riscontro nel reale, Street Pop poi divenuto Graffiti Pop poi divenuto il genere principale in Italia dopo gli skkrt e i tatuaggi in faccia. Quando l’ho conosciuto, circa 1/5 della mia vita fa, lui era ancora un rapper con tutti i crismi, io uno che doveva capire cosa fare della propria vita. Oggi, nel 2020, lui è un artista con la a maiuscola, io uno che deve capire cosa fare della propria vita. Tutto secondo i piani.
Nella recensione di Regardez-Moi che scrissi per Noisey, scrivevo qualcosa che stavo provando a riscrivere, ma che in realtà nonostante siano passati quasi 3 anni, rimane decisamente vero e affine al reale:
Negli ultimi mesi Frah Quintale è stato in copertina Indie Italia di Spotify, condiviso da chi fino a qualche anno fa condivideva “Wes Anderson” o “Frosinone”, è diventato disco della settimana su Rockit. Contemporaneamente, però, Frah era in studio a disegnare a mano 500 copertine, sceglieva come titolo del proprio album Regardez Moi, ovvero un graffito di Brescia, scriveva barre come “Sto sognando di farli e di spenderli, rotoli Tenderly, sto venendo lì a prenderli” e ad avere un background che tra writing e la discografia erano rap fino al midollo. Non è sicuramente il primo, in Italia, dove tutto deve avere una precisa categoria per essere compreso, a essere un ibrido o una fusione tra elementi di generi più disparati: basti pensare a Coez che, però, per arrivare al successo di adesso ha dovuto pubblicare tre dischi con determinate sonorità e sentirsi chiedere milioni di volte “ma che genere fai?”. Frah, forse, è il primo che è riuscito a sdoganare fin da subito questa sua evoluzione, senza storcimenti di naso, senza troppi interrogativi e così, prima ancora che qualcuno potesse chiedergli “ma che genere fai?”, una sera davanti a una birra, proprio mentre Spotify metteva il suo faccione in una playlist contenente Gazzelle, Cani e Calcutta, e mentre i miei amici milanesi che ancora oggi fanno pareti in giro per la città si prendevano bene con lui, Frah molto tranquillamente mi diceva “alla fine la musica che faccio è street pop, mi piacerebbe tenere questa vena street a lungo”. E che ci sia riuscito è dimostrato dal fatto che quando ragionavamo se fare o meno il People Versus con lui, qualcuno dal suo staff ci ha risposto “Ma tutti vogliono bene a Frah!”.
Mentre scrivo queste righe, sono passate qualcosa come 12 ore dall’uscito di Buio di Giorno e il pippone iniziale sull’ansia dallo stare in studio era tutto per dire: la prima volta che l’ho ascoltata, non sapevo cosa dire. Ne venivo dall’ascolto di Contento, che è una traccia tutto sommato classic-Frah, un’evoluzione che ti aspetti da chi stai ascoltando. Poi, senza soluzione di continuità, è partita Buio di Giorno. Inizialmente ho pensato: “Che stronzo, poteva almeno dirmi i nomi dei featuring senza rischiare di farmi fare la figura dell’idiota”, poi ho capito che quello era Frah, che cantava in falsetto, quindi decisamente non il classic-Frah.
Qualche tempo fa, in uno dei miei rari momenti di iper-attività, pensai con dei miei amici di aprire un magazine che si chiamasse Comfort Zone: ho sempre odiato la retorica da Montemagno che ti dice che se fallisci è perché non hai osato, odio la tendenza della stampa - più o meno di settore - di voler essere inclusiva nel senso più sbagliato del termine, come se tutti i lettori fossero alieni che leggono quei nomi e quelle situazioni per la prima volta. Amo le nicchie, volevo glorificarle.
Quello che mi piace di Buio di Giorno è il fatto che sia una sorta di rottura con quello che conoscevamo finora di Frah, non è né rappato né un cantato sporco, è un cazzo di falsetto, eppure sono sicuro che dalla Comfort Zone Frah non ne sia ancora uscito, eravamo semplicemente noi a non essere stati introdotti.
Dentro Buio di Giorno c’è sì un nuovo Frah, ma c’è Esa “Coltiverò dove non cresce l'erba”, c’è Neffa “Nascerà un fiore col tuo nome anche se non c'è il sole”, c’è persino la tranquillizzante voce normale di Frah “Yah, yah, yah, yah, yah, yah, yah”. Non è una cosa scontata tenere il piede in due scarpe in questa maniera, essere in grado di mettere il rap come la scritta SEX nel cielo del Re Leone: te lo godi anche senza saperlo, ma quando lo scopri vai in fissa e noti solo quello.
Quando per la prima volta Spotify, che volenti o nolenti è il più grande influencer in termini musicali, almeno in Italia, capì che per la prima volta non aveva una playlist adatta a qualcuno che doveva necessariamente avere uno spazio in una playlist, creò Graffiti Pop, mise Frah in copertina e lo rese automaticamente il leader di una lunga corsa che chiamiamo vita. Oggi, dopo un lungo periodo in testa, immagino che Frah si sia rotto il cazzo di non vedere nessuno in lontananza, nessuno che minacci minimamente la sua scia, di giocare lo stesso campionato, ma in testa. Così, come un autista pazzo di Mad Max, ha preso il suo cingolato, ha derapato e aperto una nuova strada: chi vorrà potrà continuare sulla scia classica aperta nel 2017, chi vorrà si avventurerà nella strada ancora da costruire, con Frah sempre in testa, sempre leader.
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Queste erano un po’ di riflessioni sparse su un brano che mi sto ascoltando quasi ininterrottamente da ieri. In questi giorni sto lavorando a un po’ di cose: c’è una sorta di inchiesta - che detta così fa ridere - e un progetto speciale, che contavo di far uscire in settimana, ma ovviamente sono in ritardo. Però vi lascio uno spoiler (thanks king @giommoz).
Come al solito è tempo di bottoni: seguitemi su Instagram, rispondete a questa mail se volete chiedermi cose, commentare, criticare, insultarmi etc etc. Buon w/e lungo, VVB.