A me sembra pazzesco, davvero. Mi sembra ieri. Eppure, aprendo Paper Boi, il sito mi ha schiaffato davanti il fatto che non scrivessi su queste pagine da novembre. Ora, potrei scusarmi, ma servirebbe a qualcosa? L’importante è che siamo qui, tutti insieme, a divertirci. Negli ultimi mesi ho fatto un paio di interviste (tipo questa lunga chiacchierata con Luché), ho constatato che siamo vecchi o, infine, ho scritto di una crisi mistica, partendo da Kanye e finendo su DMX. Questo elenco solo per dimostrare - unicamente a me stesso - che se sono tre mesi che non esce un cazzo è perché sono stato molto impegnato. Bene, ora che abbiamo finito con le scuse, facciamo un bel viaggio nella nostalgia. Buona lettura.
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I servizi musicali di streaming, ovvero i posti in cui tutti noi ascoltiamo la musica (o almeno la maggior parte della musica) oggi, sono indubbiamente una grande comodità. Come tutte le comodità, però, ci portano ad adagiarsi, pertanto ci sono tutta una serie di canzoni che, per forza di cose, non essendo presenti su tali piattaforme, finiscono in secondo piano, in cassetti della memoria che magari non riapriamo per anni, finendo col pensare di esserci dimenticati tutto ciò.
Del modo in cui ho scoperto il rap, ne parlai tempo addietro su Rapburger. Volevo linkare l’articolo che parlava del freestyle di Fibra versus Kiffa, del Mortal Kombat del 2001 al Palladium, ma purtroppo scopro mentre scrivo che Rapburger non è più online. Quindi un minuto di silenzio per il primo sito internet su cui io abbia mai scritto.
Detto ciò, se il primo brano mai ascoltato dal sottoscritto è stato questo freestyle in cui incredibilmente dicevano le parolacce, il primo pezzo rap mai ascoltato su un supporto fisico era un “B-side” del disco singolo di “Che Idea” dei Flaminio Maphia, con dentro Inoki e Benetti, seguito poi dal primo disco mai comprato completamente di mia sponte (Mr Simpatia), c’è tutta una pletora di brani senza patria che hanno popolato in quegli anni la mia vita e prima che davvero Internet entrasse nella mia vita quotidianamente, rovinandomela, passavano di telefono in telefono, di bluetooth in bluetooth, di infrarossi in infrarossi.
Non ricordo bene gli anni, gli anni delle medie sono per me un unico grosso mischione, so quasi per certo di aver avuto il mio primo telefono intorno alla terza media, un N70 su cui a un certo punto, grazie a una pennetta bluetooth ero riuscito a inserire una marea di giochi, tipo quello di Southpark o quello di Garfield, però so anche che era il 2007, un periodo in cui i miei compagni iniziavano a intercettare Fibra in TV e passavano dallo sfottere al cercare complicità, per quella roba strana parlata che andava in TV (è l’anno in cui a Sanremo vince Fabrizio Moro, ricordo chi mi chiese: “Oh, è un pezzo rap no?”).
Fatto sta che in quel guazzabuglio di anni, di confusione, di internet solo in ufficio di mio padre, quindi di accesso limitato e di download tanto al chilo da eMule, ci sono un paio di tracce che vivevano appunto in quest’aria tecnologica di condivisione tra GIF porno e suonerie di Italia 1, nonché gol dell’Italia ai Mondiali (o i proto-meme su Zidane e la testata). Una di queste, da qualche giorno, è stata ricaricata su Spotify.
Mondo Marcio e Fabri Fibra, negli anni in cui parlo, per i ragazzi della mia età, erano due personaggi noti. Uno era appena andato da TRL vestito da pagliaccio - se è successo dopo, l’ho detto, per me un unico grosso mischione, non voglio attenermi ai dati e al reale per raccontare quanto segue - l’altro divideva in due le discussioni: chi cantava “Dentro la scatola” con i Finley e chi pensava che quel gruppo avesse rovinato un pezzo già clamoroso.
Questo pezzo non ha una casa, almeno nella mia memoria, di decenne (forse, undici, forse dodici) di Genova, era un qualcosa che girava libero, come “Pino da Begato” dello Zoo di 105, i pezzi sulle canne di Babaman e Brusco, cose che arrivavano prima ancora che davvero si sapesse chi le aveva create. Ma appunto, qui il clash era che la canzone riportava a caratteri cubitali “Mondo Marcio ft Fabri Fibra”, in un codice che avevamo imparato a capire significasse che il primo ospitava in qualche modo l’altro. Eppure, mettevi in play la traccia, e l’unica voce che sentivi era quella di Fibra. Non sono - e non sono mai stato - Kool Herc, non ho mai avuto un grosso vocabolario musicale, lo appresi con gli anni del liceo, i primi iPhone, i primi contratti per avere internet sempre in tasca, i primi viaggi all’estero, i primi soldi che potevi spendere in minchiate. Per cui se hai alzato il ditino per dire: “Ma come, dice proprio Mondo Marcio fa il beat”, bene, non sapevo cosa volesse dire, ripetevo quei suoni, mentre mi chiedevo: “Ma quale cazzo è Mondo Marcio?”.
In questi giorni mi ha scritto l’Ufficio Stampa di questo “nuovo” progetto di Marcio, un rapper che ho intervistato solo una volta, sulla sua discografia completa, un’intervista in cui incredibilmente, praticamente saltammo del tutto “Fuori di Qua”, il Mixtape che contiene Abbi Fede. Per quell’intervista feci un ripasso generale della discografia di Marcio, eppure entrambi optammo per non citare quel tape. Abbi Fede, così, esce dalla mia vita molto tempo prima, quasi 5 anni prima, quando smettiamo di scaricare la musica e iniziamo a dire: “ok, c’è un catalogo per me, facciamo che me lo faccio bastare”.
Non c’è un vero tema in questo articolo, solo una gioia infinita nel riascoltare un brano che mi ha letteralmente cresciuto, insegnandomi persino delle parole che non capivo, dei brand (tipo Rizla, che mi sarebbe servita solo qualche anno più avanti), in poche parole un intero immaginario. E sono così legato a questo pezzo perché, nonostante appunto le immagini al suo interno fossero molto chiare, intorno c’era un’aurea di mistero. Nel periodo in cui decisi che ogni pezzo sul mio iPod, che finalmente aveva uno schermo che non fosse un semplice banner LED, in cui potevo vedere le copertine, fu per me impossibile trovare una copertina ufficiale, per anni rimase questa:
Ancora oggi se cerchi “Abbi Fede MondoMarcio”, l’unico risultato che ti dà la copertina di “Fuori di Qua” è Genius.com, un sito che all’epoca non sapevo neanche esistesse e che, soprattutto, ormai 18 anni fa, non ospitava rap italiano.
Voglio molto bene ad “Abbi Fede”, da quando è uscita la sto riascoltando in loop, perché è letteralmente una Madeleine, un pezzo che mi riporta a precise situazioni, un pezzo che mi ha spinto a capire, appunto, come fosse possibile che in un brano di un cantante, quello stesso cantante (o rapper) non cantasse. Che mi ha portato a scoprire cosa volesse dire “Che ti fai”. Mi manca molto la curiosità derivata dall’incomprensione, una cosa che oggi accade di rado, per forza di cose. Quel gesto di proibito che a dieci anni ti sembra reale, con uno che ti dice “Questa non fatela sentire in giro eh” e tu letteralmente la stai condividendo via bluetooth. Chiedersi, infine, come cazzo si pesassero venti grammi di pizza (quella rima non l’ho capita ancora oggi).
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Era tutto. Abbi Fede, Paper Boi torna presto e che lo leggi si vede.