Ué, è un po’ che non ci sentiamo eh… Be’ è successa quella cosa che noi comunemente chiamiamo vita più: dubbi grafici. Più: un nuovo progetto, dedicato a Kanye, che è qualcosa che mi sta prendendo un po’ di tempo perché mi sta portando a confrontarmi con un mezzo totalmente nuovo e inesplorato; la mia voce. Ma bando alle ciance, oggi è il 22 maggio, un gran bel giorno non trovate?
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Poche ore fa mi ha scritto il mio compagno di banco per parte del liceo, nonché una delle persone con cui ero il 22 maggio 2010, a casa di suo cugino. Di quel periodo ricordo benissimo la frustrazione di non esser mai andato allo stadio per la Champion’s, di non esser riuscito a convincere mio padre milanista che accompagnarmi a Madrid sarebbe stata cosa buona e giusta. Ricordo la frustrazione di non esser riuscito a guardare dopo il Chelsea una partita per intero: erano passati solo tre anni dall’infarto di mio padre, una delle parole che girava in quel periodo era “ereditarietà” o qualcosa di simile. 15 anni e una Champion’s dopo 45 anni mi sembravano un periodo adatto per far sì che quella profezia si auto-avverasse, meglio evitare.
Da allora non ho mai più parlato del Triplete, davvero mai, non ho mai più preso l’Inter a FIFA, mi sono innamorato - con colpa - di altri giocatori della mia squadra, che quasi sempre mi hanno tradito (Mauro, ti voglio ancora bene).
Mi fece molto ridere e piacere questo messaggio ricevuto dopo questo articolo.
Direte voi: ma sono finito sul Guerin Sportivo? Eh più o meno zì. Da quando questa mattina chiunque - e per chiunque intendo letteralmente chiunque - scrive di dieci anni fa, ho in mente una canzone dei Dogo, che, putacaso, si chiama proprio “Dieci Anni Fa”. Dieci anni fa è anche il momento in cui ho iniziato a fare questo “lavoro”, a intervistare i primi rapper, quelli della mia città, e quindi ho deciso che era giusto mettere nel mini-pimer di Substack una serie di emozioni e sensazioni di oggi nei confronti di dieci anni fa.
Il Triplete è una di quelle cose che mi fa lo stesso effetto di ascoltare rap da molti anni, l’Inter di allora per me è la scoperta di Mr. Simpatia attraverso una schermata di E-Mule, “Gonfio Così” che mi dice che un linguaggio scorrile non è tabù, ma può essere anche arte. Il rapporto che ho con l’Inter oggi è lo stesso che ho con il rap italiano: qualcosa con il quale sono legato a vita, che non riesco a smettere di osservare, toccare, vivere, ma che mi fa incredibilmente male e che ogni volta che si trova davanti a un bivio, sceglie quello che non avrei mai scelto io. Ho già parlato di Mauro Icardi?
In questi giorni è uscito un nuovo pezzo di Dala, un nome che probabilmente a molti di voi non dirà niente, ma che invece per il sottoscritto è esattamente “Dieci anni fa”. In questi giorni mi sono dovuto presentare a persone nuove e ho dovuto rispondere a diversi uffici stampa e/o amici che mi hanno chiesto: scrivi ancora da qualche parte? La risposta tendenzialmente è “mmmh, no”. Eppure il fatto che tutto accada in questi giorni, non può non essere un caso.
Dala, dieci anni fa (e poi anche 5, forse anche 3) era uno dei miei rapper preferiti e, incidentalmente, è stata anche una persona molto importante per la mia crescita. C’è un’intervista di Fibra in cui dice di non aver mai voluto intervistare Eminem, perché aveva paura di rovinarsi l’idolo, e nella mente mi torna sempre Jake La Furia che si lamenta di Seedorf che gli risponde bruscamente in un ristorante.
Ho avuto la fortuna, invece, che Dala si relazionasse con me come lo sbarbato che ero, in quello studio a due piani che era lo Studio Ostile che con il tempo mi ha fatto conoscere e poi perdere altri nomi che sono diventati i rapper preferiti di altre persone. Molte persone.
Dala è stato il primo rapper che io abbia intervistato, mi ricordo perfettamente tutti i dettagli di quei giorni: mi ricordo i due sgabelli rossi nella stanza di registrazione dove ci mettemmo per registrare la chiacchierata, mi ricordo il sapore della pizza con i würstel che ordinai nell’attesa che finisse di registrare quello che stava registrando. Mi ricordo che nei mesi a seguire finii molte volte in quello studio, un po’ invitato un po’ autoinvitandomi, e che come il ragazzino che ero, divenni quasi la mascotte di determinate situazione. A volte anche l’accollo, ma questa è un’altra storia.
Non sento Dala da anni, probabilmente da quando la sua vita è cambiata per mille ragioni e la mia per altrettante. Ho ricordi indelebili di quel periodo: per un lungo periodo ho pensato di iscrivermi a matematica all’Università, perché lui stava facendo quel percorso e me ne parlava con un fascino incredibile, che mi travolse e convinse che forse sarebbe stato il percorso giusto per me “l’approccio è molto simile a quello del greco antico”, mi dicevo o mi dicevano, non ricordo.
Mi ricordo, invece, che mia madre mi comprò una giacca da un negozio “da vecchi”, la odiavo con tutto il cuore, ma capitava che la mettessi. Ricordo perfettamente il periodo in cui quella giacca divenne la mia preferita, perché per una serie di casi ed esigenze dell’arte home made, divenne la giacca che dovetti prestare a Dala e Federico Merlo per scattare la copertina di Golden Horn, il primo disco ufficiale del rapper in questione.
Poi: l’iniziare ad ascoltare il rap francese, l’esigenza di spingere quella musica agli amici, anche fuori da Genova, negli anni, anche appena arrivato a Milano, poi la passione che si dissolve, si esaurisce, le vite che cambiano, la musica che esce con meno frequenza e tutto il resto. Dieci anni fa partiva qualcosa che mi ha accompagnato per almeno i 6 anni a seguire.
Questo è il nuovo pezzo di Dala, lo metto per completezza.
In tutto questo, dicevamo, il rap italiano è un po’ come il Triplete per me. Le cose sono cambiate molto in questi dieci anni, sia nell’approccio (mio e di chi lo fa) che nella fruizione (mia e di chi come me l’ascolta). È qualcosa che terrò nel cuore sempre, ma che forse non voglio più essere costretto a ricordare.
Un mio amico questa notte mi ha scritto: “Ma ancora tu ci credi a questa cosa? Davvero? Guarda che gli spunti interessanti nel rap italiano sono prossimi allo zero, apri gli occhi”. Non so se voglio aprire gli occhi, forse non lo farò mai. Del resto: chi cazzo ha vinto in Italia Scudetto, Coppa Italia e Champions League nello stesso anno? Nessuno, ve lo dico io. Un cazzo di nessuno.
Di questo video mi piace che ci sia il logo del Napoli, random.
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Una scusa per parlare di Inter, di una persona (e rapper) a cui sono molto affezionato e farvi riascoltare un pezzo dei Dogo a cui alla fine voglio molto bene. È stato strano stare assente per eoni (quasi un mese esatto), per cui avevo bisogno di scrivere un pezzo un po’ a cazzo.