Ok, questa è la prima volta che lo faccio in vita mia. Sto scrivendo mentre ascolto il disco. Ieri, quando ho pubblicato il mio articolo sull’impronta sul mio computer, ho scrollato un po’ l’archivio e ho visto che sono usciti praticamente solo pezzi in cui mi lamentavo. Mi sembrava giusto celebrare un qualcosa che invece mi ha soddisfatto - ma sarebbe meglio dire che pensavo l’avrebbe fatto - scrivendo di getto. Buona lettura.
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Sono le 3 di notte, ho appena finito di ascoltare Noi, Loro, Gli Altri, l’ultimo disco di Marracash. È l’ultimo in ordine di tempo, ma qualcosa mi porta a pensare che sia “ultimo” in qualche modo, anche nel concept. Domani ho una riunione alle 8 di mattina, probabilmente dovrei chiudere tutto e dormire, ma non mi va. Rimetto play.
Questo disco è stato annunciato inizialmente come “il seguito spirituale di Persona” che poi, per qualche ragione, ha preso vita, si è alzato, ribellato al suo genitore più grande ed è diventato altro: doveva essere un EP ed è un disco. Se dovessi scegliere, però, un disco di Marracash di cui questo è l’erede spirituale, più che Persona, direi che è Status.
Noi, Loro, Gli Altri arriva probabilmente nel periodo di clash più totale della carriera di Marra: è al contempo estrema soddisfazione - il suo più grande riconoscimento commerciale, la tanto attesa legittimazione da parte del grande pubblico delle sue indubbie capacità - e l’incredibile coito interrotto, che da palazzetti sold out che potevano praticamente essere uno stadio è diventata pandemia globale.
In una delle prime interviste che ho realizzato con Marra, all’epoca dell’uscita di Status, mi disse di essere incazzato, perché con il disco prima era arrivato un attimo prima che iniziasse la festa - intesa come vendibilità del genere - e con questo si sentiva di essere arrivato alla fine della festa stessa. Non poteva avere più ragione: lui, Fibra e Gué con Status, Squallor e Vero, fecero una sorta di repulisti che in qualche modo fu l’humus per far sì che le nuove generazioni potessero esplodere liberamente, in un deserto senza regole. Poi c’è stato Santeria, che è l’instant classic che tutti conosciamo, il che faceva sì che - al di là delle vicende personali - probabilmente Marra arrivasse a Persona consapevole dei propri mezzi: la scena era florida, lui era in forma, cosa poteva andare male?
Noi, Loro, Gli Altri è un disco incazzato, è un disco amaro. È un disco complesso, per cui l’instant reaction del first listening probabilmente non gli renderà merito, prometto di tornarci a mente fredda e approfondire - o addirittura cambiare - le mie opinioni, ma sentivo l’esigenza di atterrare i mille pensieri e le mille elucubrazioni che sono iniziate in Paolo Sarpi, quando dal locale in cui stavo bevendo hanno iniziato a riprodurre il disco, appena uscito, che è proseguito in tutto il viaggio in Taxi che sparava a palla RDS, mentre maledicevo il bar di prima per aver deciso di rovinarmi l’esperienza proponendo il disco in shuffle e costringendomi a scappare da lì, fino ad arrivare finalmente a casa, con le cuffie, pronto ad ascoltarlo in silenzio, al buio e come dicevo io.
Dicevamo, Noi, Loro, Gli Altri è un disco di dubbi, come il titolo di una delle canzoni che al primo ascolto mi ha toccato di più. Fin dalla copertina c’era qualcosa che mi stonava, che non mi tornava, sono tre copertine, che rappresentano le tre "entità” che poi descriverà anche Fabri Fibra nel suo skit. È il primo disco nel quale - a dispetto del brano all’interno presente - l’Io è presente solo in parte, è presente solo calato nel contesto che lo circonda. Anche le tre copertine sono le prime in cui il volto e il corpo di Marra si perdono tra i volti e i corpi di altre persone, di altre situazioni di odi et amo catulliano. C’è il Noi, la famiglia, il luogo del conflitto ancestrale per eccellenza, che ha in nuce l’amore più grande e il conflitto più grande (“Torno a casa e mia madre mi parla solo di conti” è forse la frase che esemplifica al meglio, non so se sia perché mi illudo di averla capita e vissuta, mi suona come un misto di: “Ma, stai sempre pensando ai soldi che palle” e l’insoddisfazione di non riuscire, anche con la propria realizzazione, a levare dei dubbi e delle paure che sappiamo che rimarranno per sempre, come un tarlo, in una delle persone che più amiamo sul Pianeta), c’è il Loro, l’etichetta discografica, la discografia in generale, l’altra entità di odi et amo per Marra, che gli dà quei due pali per cui nessuno batte ciglio, ma al contempo è fatto di scadenze, di necessità di incasellare all’interno di trend, strategie, marketing e tempistiche quella che più volte in questo disco Marra chiama e definisce un’impellenza, un’esigenza (“A me queste rime non mi fanno dormire”). E infine ci sono Gli Altri, che potrebbero essere gli stolti, quelli che non sanno dove guardare. Anche qui, penso che se da una parte sia gratificante sapere di essere unico, all’interno ci sia la malinconia della fine di Will Hunting (“Io mai come gli altri”), quella cosa che portava Marra a lamentarsi di non essere uno sportivo e che lo porta, nel monografico di Rolling Stone, a cambiare la mira, a dire di “non essere il più bravo”, ma quello che si impegna di più. Che dà la vita per questo.
Questo concetto è probabilmente quello che permea il disco, per la prima volta, Marracash si trova tra le mani il successo, quello vero. Non quello fatto di oasi nel deserto, come potevano essere i suoi singoli che hanno funzionato di più, a partire da Badabum Cha Cha, ma quel tipo di onorificenza che ti mette in un certo tipo di Hall Of Fame. Eppure c’è qualcosa che non torna: mentre Marra va su, tutto intorno si sgretola, si continua a parlare di rap in classifica, ma alla fine esclusi sparuti episodi, quello che va in classifica non è mai rap, perché del rap mancano le fondamenta della cultura nell’ascoltatore (“Da cosplayer di cosplayer che manco hanno visto gli anime” o ancora “Da te che inizi con il rap perche va tra i generi, ma poi ci molli come Phil Collins coi Genesis”). Marracash si sente come un patriota, senza la patria. Ha portato il rap fatto bene a vendere come il pop fatto male, e il rap per lui che fa? Sparisce, si indebolisce, si inquina, diventa altro, non il nostro.
Ma soprattutto torna la sindrome dell’impostore, che forse in realtà non è neanche quella, è più perenne insoddisfazione. Sì sono arrivato in cima, ma l’aria che respiro puzza di merda uguale. Due barre, più di altre, racchiudono questo concetto: “Pensi di star vivendo adesso che hai fatto successo?”, per la quale non basta neanche l’aspetto consolatorio che nessuno ha davvero vissuto da quando Marra ha fatto successo, e “Volevo davvero questo? Tutta la vita che ci penso. Forse non credo più al prodotto che vendo”.
In questo disco c’è tutto Marracash, sembra quasi una summa della sua poetica, ci sono pezzi che sembrano la versione matura e aggiornata di pezzi che maturi già erano, non so se per esempio il protagonista di “Noi” sia lo stesso de “Il Nostro Tempo”, ma se così fosse, siamo davanti a uno dei casi in cui il sequel compete con l’originale. C’è “Gli Altri (Giorni Stupidi)” che smette i panni tormentone di “Stupido”, diventa un brano, intimo, con l’ausilio della penna di Rokas, che voglio citare (bravo ❤️).
Sembra, per quanto macabro possa sembra, una sorta di testamento di Marracash. Mi ha lasciato una sensazione di insoddisfazione, che non è reale, mi ha lasciato come un vuoto, come se fosse finito qualcosa. Non so se sia un’epoca, se sia un percorso, non ne ho idea, ma Noi, Loro, Gli Altri sembra una fine. Non a caso l’ultimo pezzo, “Cliffhanger”, termina con la promessa di un nuovo inizio, con un fiatone da fine corsa e un “Ok, sono pronto”. Non so cosa porterà il nuovo domani, come si immagini il post-disco Marra, sembra che ci sia da una parte un disegno più grande, dall’altro la semplice impellenza di chiudere un capitolo, di buttare tutto fuori, di dimostrare al contempo di saper gestire tutto e non saper gestire un cazzo.
Ora che anche i numeri certificano che Marracash è il rapper più forte d’Italia - in parte lo ammette anche l’altro grande contendente, Gué, sempre sul monografico di Rolling Stone - che cosa cercherà Marra?
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Sono le 4, vorrei scrivere una delle outro simpatiche di sempre, ma credo che programmerò questa newsletter e andrò a dormire. Se non l’avete fatto, ascoltate il disco.
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Destabilizza perché lontano dalle strutture classiche dei dischi e quando parte la traccia finale in uptempo, Cala il sipario. Non mi stupirei se dovessi vedere un Marra lontano dalla musica in veste di scrittore.
Ti lascia quel senso di vuoto, che hai dopo aver finito una serie TV di 4 stagioni in una settimana, quel senso di completezza di aver finito un progetto ma allo stesso tempo di dover trovare qualcosa da fare per occupare quel vuoto