Ue bentornati. Ieri ho chiesto nelle storie “quando volete che scriva questa roba?”, tutti mi hanno risposto alle 2, appena finisce il disco, ma io non ce l’ho fatta. Devo imparare a stare zitto. Scusate frati, vvb.
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Dopo cinque anni di silenzio è tornato Fabri Fibra, con Caos. Come già avevo fatto per Noi, Loro, Gli Altri, all’una di notte nonostante il sopraggiungere dei 30 e i capelli bianchi, mi sono messo lì ad ascoltare il disco, come faccio sempre meno spesso. Non è una recensione, sono le prime impressioni, le cose che mi hanno colpito, che poi in particolare è una. Non è verità assoluta, un disco di 17 tracce, ascoltato una volta, sicuramente avrà altro da dire, ma c’è questo dettaglio della musica di Fibra fatta di eterni ritorni che vorrei mettere nero su bianco.
”Cresciuto nei ‘90 con la tele della mala, con i Cure e i Nirvana e con il culo di Miriana” è uno dei passaggi che più mi ha colpito. Non perché sia un distillato particolare di tecnica o perché riveli una verità piuttosto assoluta, ma perché fa parte di un gioco che Fibra sta tendendo a fare sempre più spesso, che è una sorta di sintesi del suo percorso, che è un continuo “on and off” tra i suoi personaggi, le sue voci. Da una parte, ogni tanto, si ha l’impressione che Fibra perda il controllo del personaggio e gli sfuggano delle verità, ma quali sono queste verità?
Ora, in nessuna delle cose con cui è cresciuto Fibra c’è il rap. Non è citato, non è contemplato, quindi qui è il personaggio Fibra che parla o la persona Fibra? Mi rendo conto che sia un ragionamento un po’ alla Furio di Carlo Verdone, ma secondo me è molto interessante.
Fibra negli anni si è creato una sorta di personaggio che fosse sopra le parti, non so se sia voluto o meno, ma in qualche modo era un’entità così astratta che era sopra la scena. Da una parte questo lo ha reso il gigante che è ora, senza radio e senza tv, come ci tiene a precisare in questi giorni (anzi, dice con sporadiche apparizioni). Dall’altra in questo momento emerge sempre di più il tema della solitudine. E fa stranissimo pensare che emerga da chi aveva dedicato a Vacca un outro così duro proprio sull’essere soli. Quello di quell’outro era il Fibra personaggio, quello che apre il 64 Bars è il Fibra persona?
C’è un altro passaggio che secondo me è utile a spiegare questo concetto, l’ironia di Fibra, quello in cui si chiede perché dei numerosi rapper giovani che in DM lo definiscono un mito, un eroe, un’ispirazione, poi nessuno nelle interviste lo citi mai come esempio. C’è amarezza in queste due barre, subito riequilibrata da il ritrattare come fosse un gioco. In “Demo Nello Stereo”, ancora, sottolinea come mezza Milano rappi come Gué, l’altra come Marra, senza citarsi. Un po’ perché non è di Milano (anche se: “Il mio accento vola via, non ritorna mai più, dalle Marche in Lombardia, tipo "va a dà via el cu'"), un po’ perché continua a giocare su questo concetto di “svalutarsi”, Fibra non vuole stare sotto i riflettori (“Mi sale la scimmia per ogni rapper che mi cita”), però in realtà ritiene di meritare di starci.
La canzone che più di ogni altra sottolinea questa sorta di contrasto è “Amici O Nemici”. Il paragone giusto, secondo me, per capire la struttura di questo pezzo, è “Ho Un Amico” di Bassi Maestro, un brano in cui nelle due strofe, prima parla in positivo di un amico attuale, poi in negativo di un ex amico, erroneamente per anni riconosciuto in Mondo Marcio. È utile come paragone, perché Bassi è un rapper molto dritto, molto concreto. Prende un buon amico, un pessimo amico, ne descrive pregi e difetti, e ci regala un quadro abbastanza relatable delle relazioni umane. Fibra, invece, in questo dualismo innanzitutto si mette in prima persona, l’amico è difficilmente agente, è qualcuno che riceve, qualcuno per cui Fibra ha fatto qualcosa. Il nemico non esiste. Non sono amici che si comportano male, ma il nemico sono le “pare” di Fibra, che ha paura che gli altri vogliano quello che sostanzialmente nella prima strofa lui sosteneva di dare. Fibra non è mai concreto, per quanto sia sempre altamente comprensibile. Anche qui è onirico, non racconta il reale, racconta il pensiero, ciò che c’è nella sua testa.
È sicuramente questo l’affascinante di questo disco, oltre il fatto che in questo mix di personalità è forse il disco più riassuntivo di Fibra che sia mai uscito. Ritorna Italo, il discografico incapace, nonostante appunto sia cresciuto coi Nirvana non lesina di citare mezza scena italiana, dai Dogo ai Colle, da Sapo Bully a Marracash, e infine torna quel sadismo tipico dello Slim Shady, in cui lo star System del suo paese viene citato in modo che apparentemente sembra gratuito, ma che ovviamente serve a spezzare un retaggio tipicamente italiano (ma su quanto il linguaggio à la Eminem sia forse più disruptive in Italia che negli States forse ne parleremo). Mi riferisco ovviamente al passaggio sulla Carrà.
Come dicevo non è una recensione, Fabri Fibra forse è la persona che più mi affascina del mainstream del rap italiano, proprio perché più di ogni altra si nega, sparisce, non parla, quando parla urla, con toni che all’apparenza sembrano forti ma che appunto hanno più Layer, una semplicità complessa che gli ha permesso di essere quello che è. E ovviamente parla in musica.
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Eccoci, fatemi sapere che ne pensate voi (potete commentare qui sotto o mandarmi una mail come fossimo amici di penna). Vi saluto.
D'accordo praticamente su tutto!
Incredibile