Ok, non scrivo una puntata da così tanto che sto tenendo una vecchia mail aperta nella tab accanto per copiare la formattazione, non mi ricordo un cazzo. Che poi in realtà non sono neanche due mesi, in queste settimane qualcuno di voi ha continuato ad iscriversi e non capisco perché. Vi voglio bene, partiamo con una puntata il cui tema è quello classico: il lamento.
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Ciao! Non ci sentiamo dalla volta in cui sono rimasto chiuso fuori casa. Cos’è successo nel frattempo? Be’, sono rientrato e vi scrivo dalle quattro mura + un soffitto per cui pago una cifra ridicolmente fastidiosa. Perché sono tornato? O meglio: perché sono scomparso?
Un po’ ho provato a spiegarvelo nell’ultima puntata, ma in realtà quello è stato un gioco, che mi ha portato anche gli insulti di Adamo per aver postato una foto anziché una grafica nel feed di Paper Boi. Ora, qui di seguito, le motivazioni vere.
Da qualche giorno sto leggendo “Le Civette Impossibili” di Brian Phillips. E oltre a rosicare perché anche solo 5 anni fa in “qualche giorno” questo libro lo avrei finito mentre ora ho letto solo un capitolo, le sensazioni che mi ha lasciato addosso sono tutt’altro che positive.
Il libro si apre con Phillips che ci racconta il suo viaggio pazzo per seguire una corsa di cani da slitta in Alaska. Cose che mi hanno colpito:
• Guida un aereo e nel raccontartelo riesce al contempo a farti ridere e cagarti sotto dalla paura, tipo quando guardi gli horror con le dita davanti al muso.
• Riesce a descriverti i corridori al punto di partenza come se fosse la schermata iniziale di Street Fighter: vedi i loro volti, le loro caratteristiche, l’ambiente che li circonda come se stessi guardando un film, la cosa più banale da dire di un libro ma nel contratto che ho firmato con voi lettori non era da nessuna parte specificata la clausola “originalità”.
• Per descrivere un colbacco usa l’espressione “un condominio brutalista di pelliccia” (parte del merito va dato anche alla traduzione di Pacifico), che mi ha fatto piangere per un quarto d’ora chiedendomi perché io non sapessi scrivere così bene.
Ora, vi chiederete voi, ma cosa c’entra tutto questo con il rap? In un avvenimento di redneck, in un paese di redneck, il massimo contatto che hanno con il rap è “23” di Miley Cyrus. Bene, ecco, è arrivato il momento di squarciare un bel velo di Maya: neanche Paper Boi c’entra alla fine molto con il rap. E probabilmente questo è il motivo per cui sono fermo a 1000 iscritti da un tot.
Il motivo per cui faccio questa fantastica rivelazione è che in questi mesi ci ho riflettuto: volevo commentare nuove uscite, vecchie uscite, Morgan Freeman che fa gli skit nel disco di 21 Savage mentre Metro Boomin finalmente inizia a utilizzare Young Thug che urla “Metroooo” come tag, però appena pensavo di accendere il computer e mettermi a scrivere qualcosa mi scendeva tutta la fantasia. Sono state settimane, anzi mesi, brutti: ho aperto Paper Boi per scrivere il cazzo che mi pare (chiudere la rima con Arcuri e Barale), come mi andava e quando mi andava. Mi gasava l’idea che chi volesse leggermi fosse in qualche modo ospite a casa mia e quindi dovesse sottostare alle mie regole, non quelle di Zuck, non quelle della BlogoSfera di Montemagno o vattelappesca. Le mie e solo le mie. Poi mi sono ricordato che siamo sempre su internet e come successe per Rapburger, con la gente che si lamentava che di loro non scrivevo, o con FOUR DOMINO, con la gente che si lamentava che ce la menavamo, chi cazzo credevamo di essere, ecco che anche su Paper Boi arriva chi mi dice che certe cose non posso scriverle perché, alla fine, io “faccio parte del giochino”, ma sempre da ospite.
Questi mesi sono stati anche l’inizio, in realtà, del mio tentativo di allontanarmi dal “giochino”: per la prima volta in vita mia ho un lavoro che c’entra il meno possibile con la scrittura e/o con la musica e che in qualche modo non si sovrappone al 100% anche con la mia “sfera privata”. Se voglio uscire con amici che suonano, cantano, ballano, fanno grafiche, sono sicuro al 1000% che non finiremo a parlare del mio lavoro, una soddisfazione non da poco.
Ma soprattutto ho aperto Paper Boi per fare le cose tuttepazze: di dirvi la mia sul nuovo disco degli FSK o di commentare la vicenda tra Emis Killa e Margherita Vicario mi interessa, ma fino a un certo punto. Mi interessa se posso poi finire a parlare di altro, se mentre scrivo queste righe mi diverto e non mi sento nella redazione dell’ANSA.
Ecco “Le Civette Impossibili” mi ha fatto rosicare in tal senso - e anche questa cosa in qualche modo c’entra con il rap o almeno con tutti i discorsi che ho sempre sentito fare tra rap ITA e rap USA. Come cazzo è possibile che Brian Phillips abbia tutta la libertà del mondo nell’andare a pilotare un aereo, parlare di zotici come fossero zotici e seguire per due settimane una corsa di cani da slitta, mentre io devo fare tutto dal mio divano di casa, guardando i numeri di Spotify o di YouTube, cercando l’approvazione delle solite 13 persone?
Sto preparando una serie di puntate e progetti laterali da ormai eoni, ma mi lamento così tanto solitamente che se non rasentano la perfezione mi vergogno a farli uscire. Ma soprattutto dopo aver letto Brian Phillips ho più o meno la stessa sensazione che ebbi nel leggere Shea Serrano: perché Madre Natura o chi per lei non mi ha dato anche solo 1/4 del loro talento?
Questa puntata serve anche a mettermi un bel po’ d’ansia: sto preparando un “reportage” che vorrei fare in un posto per cui sono in fissa da almeno 5 anni con una persona che stimo molto, da questo posto che voglio descrivere mi separano solo un’ora e mezza di treno. Se fossi Brian Phillips sarei già lì e sarei in grado di descrivere i posti con parole tipo “agglomerato piccolo e biancastro adagiato su un fondale grigio” e non sempre le solite quattro frasi con all’interno più “cazzo” di quanti sia lecito inserire in un’unico periodo. Non so cosa mi aspetta in quel della Romagna (o è l’Emilia?), mi sto basando su un singolo commento su internet, pescato a caso qualche tempo fa. Sarò in grado di tirarne fuori qualcosa? O non è un caso se non scrivo più di lavoro - oltre il fatto che a un certo punto ho deciso che fare la spesa era qualcosa di necessario?
Ok, era l’ennesima puntata sfogo, però c’è un risvolto positivo. Leggete “Le Civette Impossibili”, vi lascio un link qui, non è Amazon perché mannaggia non comprate su Amazon.
Ah, a proposito di libri: dopo questo leggerò il libro di Donda, la mamma di Kanye. Spero mi lasci degli spunti tutti pazzi per voi. Anche questo lo scrivo per mettermi ansia, se non esce nulla scrivetemi qui o su Instagram rompendomi il cazzo “Oh, ma quella cosa su Donda che fine ha fatto?”. Magari non vi risponderò, ma mi sarete d’aiuto. VVB. Forse questa parte dovevo metterla dopo le pesche, in corsivo, ma come vi ho detto non mi ricordo nulla.
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Quindi ecco, dopo le pesche vi risaluto e vi aggiungo un bottone. Quelli me li ricordo, che fissa! Ciao ciao.
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