Andiamo subito al sodo: sapete dove vi trovate? Be’, sì, su PAPER BOI. Oggi vestiamo i panni della generazione Z e andiamo a scoprire il fantastico mondo di Tik Tok. Uh, che brividino. Buona lettura.
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La classifica FIMI è un mondo pazzesco. Per esempio qualche settimana fa alla numero uno c’erano i Me contro Te, un duo di YouTuber di cui vorrei parlarvi per ore, ma non lo farò. Unico consiglio: se mai dovesse capitarvi di guardare un loro video, guardatelo due volte, la seconda concentratevi su quello dei due che non parla e vi si aprirà un mondo.
Dicevamo: sempre più spesso scrollando la classifica FIMI una domanda inizia a martellarti in testa: “E adesso questo chi è?”. Non capita solo a me, capita anche a persone ben più qualificate di me a parlare di musica.
Bene, non stiamo parlando di album, parliamo di singoli, ma questa settimana alla numero uno c’è un’artista che ha così tanti elementi difficilmente intellegibili dall’intelligencija italiana che sta letteralmente facendo impazzire chiunque. Stiamo ovviamente parlando di “Bando” di Anna - che si chiama così perché si chiama Anna e non ha soprannomi e non voleva rubare il nome d’arte a Emiliano Pepe, visto che l’idea iniziale era chiamarsi Anna Pepe.
”Bando” è un brano all’apparenza incredibilmente semplice: c’è una base che spinge e delle punchline che non vogliono dire niente ma lo dicono bene, gli elementi fondamentali per una hit. Eppure mai come oggi sentir parlare di Anna ci dimostra che siamo circondati da confusissimi John Travolta e/o da Signor Burns con lo skate sottobraccio. Quindi, amici cari, sediamoci un attimo e cerchiamo di capire: perché la musica che esce da Tik Tok ci arriva quando è già una valanga anziché un piccolissimo fiocco di neve?
Premessa: non è una novità che creatori di contenuti creino, per l’appunto, dei contenuti musicali. Internet è pieno di YouTuber che tra parodie mascherate o reali, o speciali per il milione di iscritti, hanno deciso di cimentarsi in uno studio di registrazione. Perché quelle canzoni è difficilissimo che arrivino a - boh - Linus e Nicola Savino? Semplicissimo: perché stanno su YouTube.
TikTok è lo strumento ultimate per l’industria musicale italiana. Esiste da eoni, è un mix tra Vine e Musically - che poi appunto è stato comprato da TikTok e ha reso celebre il social - e l’altro giorno ho scoperto parlando con Sofia Viscardi che gli under15 si incontrano per “fare TikTok”. Di questo fantastico social, ovviamente, si sente parlare da un bel po’, ma nessuno ha davvero capito il suo funzionamento. Le major, per esempio, nei loro piani d’attacco marketing, stanziano un budget per raggiungere i TikToker e far partire le famigerate #challenge: ehi tu, famosissimo tiktoker, vuoi dei soldi per ascoltare una canzone? E per creare un balletto ad hoc? Wow, tieni, te ne do il doppio. Ecco come funzione un piano marketing, più o meno.
Bene, escluso i casi di canzoni che andrebbero già perché colpiscono appieno il target di riferimento di TikTok, nessuno degli artisti over 20 ha mai svoltato grazie a una #challenge sul social, perché semplicemente si percepisce la poca spontaneità, credo. Ma se come un’affascinante comunità del centro-America prima che Colombo andasse a rompere i coglioni, il mondo di TikTok prende con il contagocce ciò che viene dall’esterno, la coltura di talenti interni è pazzesca e quando raggiunge il mondo esterno lascia a bocca aperta. Come Machu Picchu.
TikTok non è YouTube, è molto più immediato, è come se fosse una grandissima raccolta di storie Instagram, senza che però ci sia tua madre. Un win/win. La necessità di espressione artistica musicale, però, ha bisogno di altre piattaforme di atteraggio. Visto che YouTube sembra tagliato fuori dalla quotidianità della fascia dei TikToker - se non per precisi contenuti specifici - dove si può caricare la musica nel 2020? Be’, su Spotify. E Spotify = stream = classifica = FENOMENO. Chiaro, no?
In principio era Alfa
Penso circa un annetto fa, mio fratello mi disse di aver collaborato con un rapper di Genova che “presto farà grandi cose”. Ovviamente, come ogni fratello maggiore, ho la presunzione di pensare che mai mio fratello azzeccherà una previsione, specie sulla musica, il mio pane. Qualche mese dopo, circa quest’estate, sfogliando digitalmente il Secolo XIX per sentirmi a Boccadasse mentre intingo la focaccia nel capuccino, il faccione di tale Alfa mi è comparso davanti, additato come “caso”, “fenomeno”, “giovane talento dell’internet” etc etc.
Com’è successo? Alfa non è un tiktoker, ha ovviamente un profilo sulla piattaforma, condivide video, ma non è diventato famoso come intrattenitore. Eppure, sempre da Genova, arriva un altro creator che, invece, famoso lo è eccome: Tommy Cassi. Per capire come funziona la testa di un creator della generazione Z vi consiglio questa intervista, ma vi basti pensare che:
• per lui YouTube è quasi un “problema”, più volte dice di non saper proprio cosa farci. Ricaricare le storie di Instagram lì sopra?
• sostiene di usare TikTok quasi casualmente, di ricondividere lì storie di Instagram che poi magicalmente funzionano.
È un fenomeno ricorsivo, si potrebbe dire che è quasi il leit motiv di TikTok: tutto sembra nascere per caso, tutto sembra sbocciare così, out of the blue e sinceramente so benissimo che non è così, ma dall’esterno dei miei 25 anni sembra una ricostruzione più che veritiera.
Quindi: TommyCassi ascolta Alfa perché sono amici, Alfa piace, la gente ricarica la sua canzone pitchata su TikTok per poter fare il lyp-sinc o poterla ballare (visto che nessuno dell’entourage di Alfa si era preoccupato di caricare la musica sulla piattaforma), Alfa esplode e fa sold out all’Alcatraz. Ospite speciale: suo padre.
Ovviamente Alfa è il character perfetto per l’esperimento TikTok: giovane, carino, tenerone, fa delle canzoni smielate in cui parla d’amore. Poi, come ogni grande artista italiano che si rispetti, la sua hit principale che ogni tanto mi ritrovo a canticchiare è un plagio. E ovviamente ha più views e più play della canzone originale. Perfetto, no?
Come Alfa ce ne sono stati tanti che sono cicciati fuori da lì in quest’ultimo periodo, combattendo strenuamente per ottenere un posto nella Top200 di Spotify e nelle principali playlist editoriali, il più delle volte riuscendoci. Ma ad oggi sembrano tutti dei dilettanti se paragonati a colei che ha rotto il giochino: Anna.
Ci vediamo nel “Bando”.
Fino a domani - e magari ancora poi per una settimana - “Bando” è il singolo più venduto d’Italia. In queste ore è una rincorsa a chi dice la cosa più assurda, tipo “è la nuova Pompo nelle Casse”, o a chi mette il cappello su di lei, che intanto è partita da Albertino ormai due mesi fa per arrivare da Linus ieri mattina, in un’intervista di una tenerezza assoluta.
Perché Anna ha mandato fuori di testa la critica musicale? Innanzitutto perché è uscita da TikTok, ma questo lo abbiamo già detto. Poi ha usato un type beat, un termine che nel paese in cui i 3/4 dei commenti dei mixtape sono “be’, bravi tutti a rubare i beat agli americani” ha fatto scapocciare chiunque e creato tesi complottistiche di tutto rispetto. Cos’è un type beat? Facilissimo: è un beat che tendenzialmente un giovane producer ignoto della provincia di Salcazzo sull’Arno realizza ispirandosi al mood di un determinato artista o proprio a un beat di una determinata canzone. In realtà non sono sicuro che quello di “Bando” sia un type beat, molto più semplicemente credo che Anna abbia registrato il tutto su un beat che qualcuno su internet ha messo disponibile e/o le ha venduto per una cifra irrisoria per pagarsi il fumo e poi la traccia è esplosa e da bravi amici si sono messi d’accordo.
La canzone non è la nuova “Pompo Nelle Casse”, perché a differenza del progetto di Guardiagrele non ha nessun tipo di ironia o post-ironia di sottofondo, ma soprattutto è un vero manifesto generazionale. Cita dei “meme” che sono esclusivi della piattaforma di partenza aka TikTok - se lo scrivo un’altra volta mi escono gli occhi fuori dalle orbite - come per esempio la mia barra preferita: “Giuro che sei un bambino, non sei 2000”. Fa male al cuore, vero? Poi ha un uso completamente improprio di termini che arrivano dagli USA, vengono rimasticati da noi e diventano intercalari per i quali ognuno ha una teoria diversa: andatevi a rivedere i video in cui la gente spiega BUFU, Skkrrt o Eskere. Rimarrete a bocca aperta.
E ora arriviamo al titolo: perché non è rap? In questi giorni ho letto in molti criticare tecnica, contenuti, paragonare a rapper pre-esistenti lo stile di Anna. Ma soprattutto l’ho vista in studio con Tony Effe, una cosa che mi ha fatto piangere il cuore.
In un’intervista a DeeJay Chiama Italia di ieri, Anna parla con un filo di imbarazzo a Linus e Savino, quell’imbarazzo tipico di chi ha un terzo degli anni del suo interlocutore e di chi non ha mai avuto a che fare con il mezzo radiofonico. Normalissimo. A un certo punto, però, Matteo Curti le chiede: “Ma per caso conosci DaniFaiv, quello di Yoshi? So che anche lui è di Spezia” e a quel punto Anna si illumina, andando a raccontare della volta in cui lo ha incontrato in una sagra di paese, per poi dire: “Ma sicuramente non sa neanche chi sono”, con un pizzico di amarezza (tranquilli, DaniFaiv l’ha tranquillizzata per mezzo storie, lo sa, lo sa).
Se andiamo a spulciare il suo profilo Instagram, nonostante la fama e la firma in major, ci sono ancora le foto con i rapper con le caption da fangirl, che rendono Anna di una genuinità micidiale, un elemento completamente esterno a tutto l’universo rap.
Un esempio
Ok, Tommaso, ma perché ci stai parlando di loro? Bene, è arrivato il momento di svelare le carte. Oltre alla prima classifica FIMI della sua vita, in queste ore Anna deve fronteggiare anche il primo dissing della sua vita. Come nelle migliori saghe Marvel, l’arrivo di un nuovo supereroe porta anche all’arrivo di un super-villain, simile ma distante.
Marta Daddato è una TikToker coi fiocchi, fa i meme in cui ridicolizza situazioni della normalità quotidiana, i balletti, i lyp-sinc ma soprattutto: fa musica. È un fenotipo umano completamente diverso da Anna, è se possibile ancor più affascinantemente provinciale nel suo modo di considerare lo stile, in un modo che non c’entra per un cazzo con il rap, nonostante ne usi il linguaggio.
In questi giorni è tornato a ricircolare un suo singolo - qualcuno di voi lo ha mandato anche a me in DM e anche questo “qualcuno” mi ha scritto: “Oh, anche Roma ha creato la sua Bando”. Ovviamente hanno quei pochi punti in comune cruciali che bastano per far sì che la gente le metta a confronto. Be’ tutto questo per rendervi a conoscenza dei miei ascolti di questo inizio di quarantena.
Anna e Marta Daddato si sono dissate e lo hanno fatto benissimo e questo video spiega perché il titolo di questa newsletter. E a me va benissimo così. Che mondo bellissimo.
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Ho scritto abbastanza, questa era PAPER BOI. Iscriviti, fai iscrivere gli amici, seguimi su Instagram e se vuoi dirmi cose puoi farlo rispondendo a questa mail o in privato su Instagram per l’appunto. Un baci8.
Ah, ho dato una mano ai ragazzi di Undamento per l’ultima puntata della loro newsletter, che esce fra un’oretta. Se siete curiosi ci si iscrive qui.