Nulla è più conscious della rabbia
È uscito un nuovo disco di Kendrick, a sorpresa. Ma tanto già lo sai.
Questa settimana è stata abbastanza una merda. E, per quanto retorico, sono felice che esista il rap perché invece ieri sono uscito di casa tutto gasato con il sorriso perché alle 19 - le 10 di LA - è uscito il nuovo disco di Kendrick, a sorpresa. È stato bellissimo sentire certe sonorità, certe intenzioni, certe attitudini, quindi ho scritto questa cosa di getto. Buona lettura.
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Molte volte - e sono colpevole anche io di questo reato di pensiero- ho sentito dire che Kendrick Lamar è bravo ma “è un asciugo”. Forte eh, ma che palle. È un discorso sicuramente complesso, che nasce anche un po’ da quello che le persone tendenzialmente cercano nel rap, ma è anche dovuto a un fattore secondo me non scontato che è il modo in cui la maggior parte degli ascoltatori ha conosciuto Kendrick: con la rabbia. In “Control”, probabilmente la strofa che ha fatto dire a tutti che quel tipo poteva diventare the next big thing, Kendrick se la prendeva con la scena, dissando persino il povero Big Sean che lo aveva invitato.
Negli anni Kendrick ha fatto un percorso di maturità artistica che solitamente nel rap è equivalente a allargare il tiro, cambiare genere, avvicinarsi a sonorità diverse, pensare dei concept album: di certo non i dischi che ti fanno venir voglia di essere pompati in macchina.
Secondo me nel valutare il rap troppe poche volte si perde quello che è lo spirito di partenza, che è uno spirito comunitario ed è anche il motivo per cui - a mio modo di vedere - è un genere così celebre tra le uniche persone che ascoltano musica con gli altri al di fuori dei concerti: i ragazzini (e le ragazzine). È musica che in qualche modo penso che debba trovare un valore nella condivisione, nell’ascolto in macchina. Il che non significa che brani profondi che ti parlano nell’orecchio come un amico o un amante non siano brani validi, ma che in qualche modo il mindset di chi si attinge ad ascoltare questo genere sia molto più spesso l’headbanging piuttosto che altro.
Per me, dunque, anche se sicuramente esistono brani che hanno un valore letterario più alto, non dimentichiamoci che stiamo parlando del vincitore di un Pulitzer, comunque un effige di valore in un’epoca in cui stiamo distruggendo i premi, penso che il vero Kendrick sia quello di brani come “King Kunta” piuttosto che - per dire un altro brano a caso - quello di “Count Me Out”. Il perché è molto semplice: quel brano riesce a prendere un sentimento di rabbia - oggi diremmo rivalsa - e lo trasforma in un banger, con tanto di balletto, ritornello catchy, usa la forma musica come cavallo di Troia per veicolare un messaggio, ma soprattutto intrattenendo, un altro valore che è fondamentale nel genere e che sembra che di tanto in tanto venga messo in secondo piano.
Tutto questo per dire: ritengo Kendrick uno dei migliori rapper di cui io sia stato contemporaneo, proprio perché un po’ come gli NWA, un po’ come Tupac, riesce molto spesso a arricchirmi usando la rabbia come veicolo. Quando dice a Drake che è un “colonizzatore”, non sta solo cercando di attaccare il rapper canadese ferendolo dove fa più male, sta facendo uno statement politico, sta dando all’ascoltatore la sua visione sul genere e sulla vita.
L’ho scritto su Twitter sentendomi poi eleggibile di un bel post su “Io, professione mitomane”, ma lo ripeto anche qui: in un articolo su FOUR DOMINO - un sito che avevo aperto con altri amici che per un po’ è stato il posto dove scrivevo di rap - avevamo celebrato “Guilty” di Noyz Narcos, partendo da una definizione che qualche utente aveva dato su Wikipedia del disco, ovvero “conscious”. Quindi, in una letterale chiacchiera da bar, ci eravamo ritrovati a pensare se quella definizione fosse o meno un errore (quando si hanno 18/19 anni tutto sembra importante tranne ciò che davvero lo è).
Un passaggio di quell’articolo - che si chiamava proprio “Conscious” - faceva così:
”Una cosa che apprezzo di questo disco viene appunto da Wikipedia, dove, nella pagina dedicata a Noyz, questo disco è classificato come “conscious rap” (per vestire poi subito gli abiti della banalità e del pressappochismo e catalogarlo come “Gangsta rap” nella pagina dedicata), perché sarebbe troppo bello che l’utente medio di rap e internet riuscisse a inquadrare al meglio una cosa per due volte consecutive.
Trovo non ci sia niente di più “conscious”, consapevole, che la rabbia. Anche il fatto che tutta questa rabbia sia caricaturata, come sempre nel freak show del Truceklan, la rende ancor più consapevole. D’altronde si può controllare al meglio solo ciò che conosciamo fino in fondo. E quindi Noyz in “Guilty” si mette molto più che a nudo, analizza molto più che l’animo umano, controvertendo quella credenza che il conscious rap debba essere tenue e quasi cantato.
Riascoltando Guilty, anzi, ho l’impressione che Noyz sia quello che meglio riesce a dissezionare gli aspetti dell’animo umano, portandoli forse sì verso il colore nero del pantone delle possibilità, che forse è però quello più vero. Se quindi a oggi mi chiedessero chi è il miglior conscious rapper italiano, provocatoriamente direi Noyz Narcos.”
Ora, posto che non capisco cosa intendessi con “cantato” - o meglio lo capisco ma praticamente dieci anni dopo lo scriverei diverso - continuo a pensare che questa cosa sia vera. Non ho apprezzato molto “Mr. Morale & The Big Stepper”, per quanto si possa non apprezzare un disco di Kendrick, nonostante ci siano brani come “Rich Spirit” che ancora albergano i miei ascolti, proprio perché - come dicevamo all’inizio e perdonerete la semplificazione - l’ho trovato un asciugo. Mettere play e sentire Kendrick parlare del qui e ora, parlare di Lil Wayne, prendere per il culo Snoop Dogg, è ciò che rende GNX secondo me un discone, ancor prima della musica.
Coinvolgere poi nel proprio disco una serie di rapper che in molti definirebbero “sconosciuti” ma che sono - probabilmente - tra i più freschi e futuribili rappresentanti della West Coast (Siete7x ti voglio bene quasi quanto a Dody6 il che mi fa chiedere perché se un rapper decide di mettere un numero nel proprio nome probabilmente spaccherà) recupera anche quel sapore di collettività di cui si parlava prima, che viene chiaramente restituita anche all’ascoltatore. Con questo disco Kendrick rappresenta un movimento, decide di ripartire in qualche modo da zero (è il suo primo disco che non esce sotto l’effige della “TDE”) creando il suo esercito per gli anni a venire.
Ci sarà tempo probabilmente per analizzare i testi, le rime, le doppie rime e perfino quelle triple, ma come mi è già capitato di scrivere su queste pagine, negli ultimi anni ho capito che la cosa che a primo acchito mi gasa di un rapper è l’attitudine. Quello di GNX è il Kendrick con la mia attitudine preferita che, tra ricordi e ripartenza, ha deciso di decretare ufficialmente il 2024 come l’anno di K-dot.
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Vi saluto con un’ennesima banalità. Che belli Kendrick e Mustard insieme. Quindi ecco quello che forse è il mio brano preferito dopo tre ascolti.