Meraviglioso
Un pezzo sulla presa male per un pezzo che mi ha preso bene (perché mi ha preso male)
Bentornati su Paper Boi. Oggi voglio parlarvi di un pezzo che questa mattina mi ha messo il magone. Fuori c’era il sole, io pedalavo ed ero felice di essere un po’ preso male. Buona lettura.
🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑
C’è stato un periodo della mia vita in cui pensavo che il mio unico vero grande specchio sul mondo fosse il mio iPod. Era il periodo della scuola, quindi delle gite o dei viaggi in autobus per arrivare a scuola (alle medie, una fermata, ero pigro già a 11 anni). Non solo il genere di musica che era contenuta in quell’arnese mio primo contatto con la tecnologia del futuro, ma anche il modo in cui la musica era contenuto in esso. Quindi ho passato eterni pomeriggi nel computer in ufficio da mio padre a stare su iTunes a cambiare canzone per canzone tutte le descrizioni dei brani che avevo capito come scaricare da eMule o da YouTube. Ogni canzone doveva avere la propria copertina, se non l’aveva veniva ricreata o cancellata dall’iPod (se era un brano a cui tenevo particolarmente veniva accorpato a un disco di modo che potessi evitare queste regole auto-imposte). Il titolo della canzone veniva scritto con ogni lettera maiuscola, quindi le canzoni erano tipo “Abbi Fede”, “Gonfio Così”, tutte piccole storture che penso fossero indotte da iTunes e che ogni tanto mi sono rimaste anche quando scrivo articoli più ufficiali del mio catalogo. Infine, poi, visto che poteva capitare che una delle due cuffie dell’iPod venisse scambiata con qualche amico e/o compagno di classe durante tragitti più o meno lunghi o durante attese di genitori fuori da scuola o dagli allenamenti, all’interno del device non c’era spazio per guilty pleasures, canzoni che potevano in qualche modo minare un personaggio o una credibilità che ad adolescenza appena iniziata è molto più che importante. Quindi negli anni ho rifiutato di mettere dentro della monnezza che mi piaceva ma che non volevo che gli altri sapessero fosse di mio gusto, visto che comunque già convincere qualcuno a dividere le cuffie con me ascoltando rap era una missione quantomeno complessa. Conseguente a tutto ciò, c’erano le sbuffate e gli occhi al cielo quando mi capitava di essere l’ospite dell’iPod e magari partivano i Blue che cantavano un adattamento scritto da Tiziano Ferro della loro canzone più di successo, mentre le mie corde vocali mi imploravano di cantare invece.
Non so se il motivo di quanto vi sto per raccontare sia lo spleen che mi accompagna inconsciamente da tanto, ma ricordo perfettamente (avrò avuto 13 o 14 anni) la prima canzone non rap che entrò nel mio iPod, che in qualche modo mi convinse che il suo valore fosse più forte del personaggio. È una canzone che ancora adesso, quando parte, so cantare a memoria, che scoprii solo qualche anno dopo essere una cover quando la misi in un viaggio in macchina e mia madre si lamentò di questi cantanti che “rifanno le canzoni di un tempo” (era il periodo di Laura Pausini e del suo disco “Io Canto”, o almeno credo). La canzone è “Meraviglioso”, nella versione dei Negramaro.
Non so cosa potesse sapere un bimbo di suicidio, di malessere, quella canzone ha anche una sorta di tono paternalista riascoltata oggi al doppio dell’età, ma in quel momento in cui odi la vita, tutto, pensi che nessuno ti capisca, dal tuo corpo ai tuoi genitori, il fatto che qualcuno mi dicesse che anche nelle piccole cose potesse esserci della meraviglia mi risvegliava delle cose dentro.
Tutto questo pippone iniziale per dire che in realtà il tempo è cambiato, gli anni sono passati, ma quella sensazione di conforto, di una mano sulla spalla, è una cosa che mi stupisce sempre ritrovare nella musica (specie se italiana, specie se rap). Così questa mattina, mentre mi recavo a lavoro in bici con dei timidi raggi di sole milanese, ho messo play a un disco che avevo già sentito e quattro minuti dopo avevo gli occhi lucidi.
Questa notte è uscito “Trueno”, il primo disco da produttore di Stabber, che si apre con una sorta di omaggio al suo passato, ovvero un pezzo con Danno e Dj Craim, con i quali ormai 15 anni fa creava “Artificial Kid”, uno dei dischi più belli del rap italiano (opinione mia, non contestabile, grazie).
Il pezzo si chiama “Il profumo delle rose” e non voglio fare l’analisi del testo, né tantomeno quella musicale. È un brano che inizia parlando di luci che si spengono, che tratta vari temi che sono molto umani, molto pesanti. Lo fa con una tenerezza e una semplicità che è a tratti spiazzante, il tutto grazie alla delivery (che in molti si scordano essere una delle basi principali del rap, se non la principale). In pratica: se qualcuno mi dicesse che esiste un rapper che ha detto che “il profumo delle rose” gli ha salvato la vita, probabilmente dietro la maschera di cinismo riderei. Se me lo dice direttamente il Danno, in cuffia, su un beat del genere, in conclusione di una traccia, quella frase mi fa piangere. Per davvero.
Mi piace soprattutto che esce dal rap per una serie infinita di motivi, che mi pare che solo in pochi (ma buoni) stiano riuscendo ad affrontare. Per motivi diversi, i conti con la vita, negli ultimi anni - che almeno ricordi io - li hanno fatti Egreen con Nicolàs, Marracash in canzoni tipo Dubbi e proprio il Danno.
Ripeto, quella che segue non vuole essere un’analisi del testo, perché non ne sarei in grado, perché servirebbe più tempo, ma è più un ragionamento che scaturisce da alcune frasi, che magari significano altro, ma che in me significano quello. Quando sento “Io resto qua in cerca di luci lontane mentre intanto qualcuno forse sta imparando a fare il padre”, mi sembra che questa sia forse l’analisi più lucida, cruda e reale dell’avere a che fare con questo mondo. Non so se parli di rap nello specifico Danno quando scrive questa frase, non so neanche se parli precisamente di quello che sto per dire, ma quella sensazione di star facendo ancora un gioco per bambini, mentre attorno a te c’è chi cresce e si prende le vere responsabilità è una delle costanti della mia vita che fanno sì che le luci della sala si spengano, accendendosi per piccoli momenti, come quando le lampadine sono fulminate.
Non c’è una vera tesi di fondo in tutto ciò, ci sono immagini che mi squarciano dentro, per trascorsi personali (che anche a Roma possa arrivare la peste, quella città che per me è sinonimo di una lunga estate adolescenziale durata circa un anno e mezzo, per esempio, mi sembra parlare come se fosse sussurrata all’orecchio) o anche il discorso della bianca cecità, come se fosse un mix tra un reality check e una strofa di Caneda, mi fa pensare che brani così facciano bene alla musica tutta.
Sono felice che questo brano sia uscito, che apra un disco che non è solo rap e che può parlare a tanti. Sono felice che esistano mani di persone come Danno, Craim e Stabber, perché alla fine anche frignare un po’ il venerdì mattina, col sole, in bici, può dire tanto della musica e tanto del tuo iPod.
🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑🍑