Ciao a tutti, per chi fosse nuovo - dall’ultima puntata c’è stato un po’ di arrivi - io sono Tommaso Naccari, questa è Paper Boi, una newsletter in cui si dovrebbe parlare di rap e invece ci si lamenta. Non male, no? Questo è il primo di due articoli che scriverò sul disco di Tyler, The Creator. Buona lettura.
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Non ho ancora ascoltato bene “Chromakopia”, ma questo è un altro tema di cui scriverò a breve qui - credo nel weekend.
Mi è però capitato di ascoltare qualche traccia, non per mia scelta, o di leggere in giro dei commenti, delle recensioni, delle opinioni o come dicono quelli più giusti delle first impression. Non credo nel terrore per gli spoiler nei prodotti narrativi - che siano libri o film - figuriamoci in un disco.
Come spesso accade, la maggior parte di queste cose mi arrivano attraverso il fu Twitter, che mi rifiuterò da qui ad libitum a chiamare con il suo nuovo nome, ognuno di noi ha bisogno di una dose di conservatorismo dentro di sé.
Uno degli ultimi tweet che mi è capitato sottomano e che ora non ritrovo più sennò vi linkerei è uno di un utente che mette a confronto due passaggi, uno dall’ultimo disco di Tyler, appunto e uno da 808 di Kanye West.
La prima è tratta da Tomorrow, di Chromakopia, e recita:
”They sharin’ pictures of this moment, shit is really cute. And all I got is photos of my ‘Rari and some silly suits”.
La seconda è tratta dal secondo - scusate il gioco di parole - brano di 808 & Heartbreak, ovvero “Welcome to Heartbreak” e fa così:
”My friend showed me pictures of his kids. And all I could show him was pictures of my cribs”.
Che Tyler debba tanto a Kanye (e a Pharrell e a Kendrick etc. etc.) è innegabile, ma queste barre escono l’una a 16 anni di distanza dall’altra, che è più o meno la differenza di età che hanno i due (Kanye ha 47 anni, Tyler ne ha 33). Questo vuol dire che entrambi quando hanno scritto (o per meglio dire pubblicato) questa riflessione, una chiaramente la citazione dell’altra, erano negli early 30 e si interrogavano - per motivi diversi - su cosa volesse dire per loro avere 30 anni.
Ora, se non si fosse capito, ho 30 anni anche io, precisi, questa cosa dello smarrimento è un tema di cui ho già parlato su queste pagine virtuali (per la precisione qui), nonostante io non possa mostrare né cribs, né ‘Rari, forse giusto qualche silly suits, ma non so neanche se li definirei suits. In compenso però ho una bellissima action figure di RZA as Bobby Digital che rosico di non poter esporre come vorrei e che una parte sempre più convincete di me vorrebbe togliere dalla confezione per farla sfidare con un action figure di dimensioni simili raffigurante Hulk, anch’essa purtroppo ancora inscatolata.
Avendo già citato il cavallo di battaglia dell’età, non posso anche citare per l’ennesima volta Mark Fisher che parla di Drake che si lamenta vuotamente della fama mentre diventa ricco, però attraverso questo stupido escamotage retorico l’ho fatto e mi chiedo: perché io 30enne genovese che LA l’ho vista al massimo in qualche film e appunto non ho né ‘Rari né cribs, mi sento così toccato da un passaggio di milionari se non addirittura miliardari che secondo il modello americano sono arrivati in cima e si chiedono “Ah, è tutto qui?”.
Non può essere il contesto, perché il messaggio alla base di queste due barre per cui sono le 19.43 e sono in tram andando a sentire Nas con gli occhi lucidi è proprio che le persone intorno a noi - mentre giochiamo a un gioco che sembra fondamentale ma che davanti alla realtà si rivela essere, appunto, un gioco, per di più infantile - stanno crescendo, mentre noi continuiamo a pensare che in una sfida alla meglio di tre alla fine Bobby Digital potrebbe farla sudare a Hulk, perché ingegno, non solo rabbia.
La chiave di lettura, secondo me, la si trova qualche traccia più in su di “Tomorrow”, sempre in Chromakopia, ma in generale nel contesto del disco stesso, che appunto in qualche modo è il disco in cui Tyler sembra mettersi a nudo più sinceramente anche rispetto a un Igor, in cui una maschera e tutte le dichiarazioni fuorvianti sull’omosessualità e le “figure of speech” annacquavano - per chi scrive - un bel disco d’amore. “Hey Jane” è forse la traccia deep più Tyler che esista, parla di un tema come quello di un figlio perso/non avuto, ma inizia con una voce registrata che dovrebbe essere di sua madre che suggerisce al figlio di indossare sempre il condom. Di per sé non è un messaggio ironico, ci mancherebbe, ma se conoscete Tyler, il suo gusto per il demenziale e il fuori luogo, è impossibile non immaginarsi la risata adolescenziale di Tyler Gregory Okonma. Questo brano è un po’ la summa secondo me della maturità di Tyler, ma anche del pensiero alla base del disco. In un album in cui si focalizza così tanto sui trent’anni, sull’età adulta, il primo pensiero dell’interlocutore di Jane è che in quella che sta vivendo una disgrazia, la mamma, la stessa mamma che diceva di indossare il condom, sarebbe stata entusiasta.
È una lettura superficiale, probabilmente parziale, anzi sicuramente, ma soprattutto obnubilata dal vissuto di chi scrive, che vive alcune dinamiche anche del genere come se fossero più importanti di quello che sono (e per questo farebbe vincere Bobby Digital vs Hulk, ve l’ho detto): la realtà è che il rap per chi lo fa, per chi lo ascolta, per chi lo vive, sarà sempre un genere storto, incompreso. Per questo motivo chi lo fa è un eterno Peter Pan, per questo motivo l’industria che lo circonda avrà sempre una moralità dubbia, che può portare chi lo fa ad impazzire (o a compromettere la propria moralità ancor più di chi ha provato a fregarlo) o a indossare una maschera ogni volta per creare un disco, per non esporre sé stessi così tanto.
Queste due barre mi colpiscono molto oltre che per una base naturale di egocentrismo che le agenzie marketing chiamano “to be relatable” e invece la tua compagna di banco e/o di scrivania chiama “oh mio dio parla di me”, perché evidenziano una fragilità bambinesca che però subisce un’incredibile sterzata verso il finale. Davvero siamo così scemi da flexare persino quando ci stiamo figurando come dei fallimenti?
Ascolterò meglio il disco di Tyler, come già detto nel weekend arriverà una sorta di summa, che non definirei recensione, con anche l’aiuto di qualche voce esterna, perché alla base di questo disco c’è sicuramente un tema molto più grosso e interessante dell’essere adulti. Mi stupisce però che se - per rimanere in tema lessicale - fotti col rap, per te crescere sia così difficile. Mi stupisce che a volte ci vogliano 16 anni perché un altro rapper si accorga di avere 30 anni.
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Questo era Paper Boi, potete iscrivervi, dire alle persone a voi care di iscrivervi oppure dirmi che non ho capito un zoca rispondendo a questa mail. Vi vorrò comunque bene. Ciao