Tengo doje versione. One: good boy, two: Paper Boi
Forse la prima puntata propositiva della newsletter meno news del mondo
Non ci sentiamo da un mese. Come state? Il motivo? Perché sto in fissa con i fumetti e meno con la musica ultimamente, non so mantenere due passioni alla volta e non ho ancora trovato la chiave di volta per parlarvi di Wandavision qui dentro. Ma fidatevi che ci riesco, prima o poi. Oggi, nonostante tutto vi parlo di una cosa che mi piace molto. Pazzesco, ve’?
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Mi sono rassegnato all’idea che il rap è diventato maturo (in Italia si dice così, mi sa) e che quindi rimarrà rap ancora per poco tempo. Cioè dopo diversi e agognati anni, finalmente - non si sa per chi - tutte le robe belle e di successo saranno il meno rap possibili. Non è una critica, non è un dissing, non è nulla: come è successo in ogni parte del mondo il rap viene e verrà ibridato, l’unico problema è che probabilmente qua in Italia, esclusa qualche rarissima eccezione, abbiamo saltato il passaggio in cui il rap diventava mainstream.
Dopo quest’intro da Old Man yelling to the cloud, arrivo al sodo. È uscito un (bel) disco di Mace che, come direbbero gli inglesi o Gué Pequeno, non è propriamente la mia tazza di te. Sticazzi direte voi, sticazzi lo dico anche io e siamo tutti felici. All’interno di questo disco, però, c’è una piccola perla che non riesco a smettere di ascoltare da quando è uscita. Mi fa sentire veramente scemo, mi fa fare quelle mosse con cui Fibra sfotteva Vacca, salto sul divano, fingo di avere un microfono e una big chain e inizio a rappare strofe che palesemente non so rappare, tutto gasato.
Ve lo lascio qui:
Be’ che dire, se non che sono passati 10 minuti dal momento in cui ho messo il link a quando effettivamente ho ripreso a scrivere, complice l’opzione loop del player. Non voglio in alcun modo fare il vaticinio e dirvi: “Ecco il futuro” né lanciarmi in accurate analisi di cosa dica e perché lo dica, perché non ce n’è bisogno, ed è proprio questo che mi lascia a bocca aperta.
Ho scoperto J Lord relativamente “tardi”, come dicono i migliori dei giovani memer, per lungo tempo ci ho dormito, non avevo voglia di andare oltre una foto che mi gasava abbestia perché sembrava estratta da uno qualsiasi dei video di Kendrick Lamar e poi rimanerne deluso. E così, come quando si esce da una lunga relazione e si pensa che tutte le papabili nuove relazioni saranno tossiche e sbagliate, così vedevo del marcio dove non c’era “sì, bello, ma…”. Poi è arrivata “My G”.
First reaction:
(Anche se avrei preferito Germany easttttttt)
Il testo è di una semplicità sconcertante, anzi più confortante in un’epoca in cui la semplicità va di pari passo con la banalità. Mi sono sforzato ma non mi viene davvero un termine più corretto di semplicità, potrei parlare di genuino e vero, ma non voglio cascare nel cliché del represent, anche se J Lord un po’ ti tira per la giacchetta verso quel tipo di linguaggio.
La realtà è che, come ogni vecchio che si rispetti, mi sento confortato in ciò in cui mi ritrovo, in quel mondo in cui mi stai raccontando una cosa. Che sia qualcosa che realmente ti accade, che non lo sia, non me ne frega un cazzo, ma mi stai facendo vivere ciò che mi stai raccontando. Ti ringrazio e ti riascolto, proprio come ringraziamento.
Tutte le situazioni raccontate da J Lord sono qualcosa di facilmente riconoscibile nella tradizione rap mondiale (USA? Principalmente) e anche quando si spinge in immagini più ardite, non esce mai dal seminato che in questi hanno ha fatto parte della tradizione del rap (italiano questa volta)
Giravamo cu na mulletta pe' dint''o bursello
C'allenavamo ch''e maiale comm''e siberiane
'O nonno areto c'alluccava quando sbagliavamo
Oh poi magari mi sbaglio e davvero J Lord si esercitava a usare quello che per Noyz e Chicoria era il tajerino contro dei cadaveri di maiali, ma mi permetto di vivermela come una metafora atta a farmi vivere e respirare un certo tipo di situazione.
Non saprei come definire “Scostumato” e “My G”, a cui lego a doppia mandata “Sixteen”.
Passavo ogni serata a fa 'e sciocchezze
Mo ca repenso, tutto chello nun teneva sеnso
Queste barre, che sono precedute da altre due barre che raccontano di un tipo che si fa una botta e ti asciuga, mi hanno ricordato un altro giovane di belle speranze che di lì a pochi mesi veniva incoronato come “il NAS italiano”, per poi – consapevolmente e legittimamente – cambiare strada e dedicarsi ad altro:
E le storie le ho fatte, fino ai venti
Fino a averne fin sopra ai capelli
Il giorno prima del grande risveglio
Stavo ancora in box con le mani nel cellophane
Barre che arrivano in un pezzo che si apre con:
Io non lo so cosa cazzo mi frulla (Eh, no)
Però ho tutto qua dentro
Le risposte che ho sempre cercato
Le ho trovate a caso, che cazzo di scemo
Ecco “che cazzo di scemo” e “sciocchezze”, anche parlando di un tema abbastanza scontato coma la gadro, mi sembrano un tentativo che è abbastanza alla radice del rap: l’emancipazione. Poi, so che questa è una lettura mia, di una persona che sta crescendo e che ha capito che alla fine il bling bling non ti risolve un cazzo e che se lo flexi dopo due pezzi probabilmente fra quattro dovrai venderlo per pagarti l’affitto, e che magari non è reale, ma davvero anche una retorica come: “Ê volte 'e cose materiale nun te fanno sentì happy / Te scarfa cchiù n'abbraccio ca nu piumino expensive” mi fanno pensare che il tipo abbia la testa a posto, che sappia rappare (e infatti nel pezzo d’apertura ha scomodato un nome come Fritz Da Cat). Oh, poi mi fomenta stupidamente il napoletano mischiato con l’inglese, la r moscia, il fatto che finalmente il durag sia sulla testa di chi deve stare e così via, non c’è molto da ragionarci sopra.
Mi gasa. Punto. E per una volta anziché borbottare volevo dirvi, come se fossimo degli amici al bar: “Oh, ho ascoltato ‘sto zio, senti quanto spacca”. Sì, ho quasi 30 anni.
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Eccoci, a proposito di amici al bar: Stole è un mese ormai che mi rompe il cazzo che dovrei parlare su ClubHouse perché alla fine queste cose possono spaccare anche lì. Ora, come avrete evinto, non ho proprio questa fama e costanza di “spaccare”, però se oltre al fantastico Moab anche qualcuno di voi pensa che potrebbe essere interessante chiacchierare su uno dei social che sto odiando di più nella mia vita fatemelo sapere. Se voleste seguirmi là sopra sono Tommaso Naccari (o @paperboi_it) e ho qualche invito, se potesse servire (non saprei come inoltrarvelo ma boh, magari voi sì). Bella!