Eccovi, bentornati. Bando alle ciance: oggi parliamo di Instagram e del perché la pagina di tuo padre e quella di Snoop Dogg non sono così distanti. Non male no? Buona lettura.
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Una delle espressioni che mi ha sempre fatto ridere legate al rap è quella di “tenerlo vero”, specialmente in Italia. Non tanto perché il “tenerlo vero” non si sposasse solo con la musica - cioè essere real - ma perché il sottotesto è quello di una certa serie di regole e comportamenti che vanno rispettati affinché il sacro dio della doppia decida che alla fine, un posticino per te accanto a Tupac e Biggie, ci sarà sempre.
Il “tenerlo vero” oggi sta un po’ scemando, ma è stato sostituito da un’estetica super curata a livello social, tanto che persino il profilo del primo rapper scarso che vi venga in mente ha la stessa cura dell’ultimo numero di Vogue.
Vittima di questa cosa lo sono e lo sono stato anche io: su Instagram non seguo un numero elevatissimo di rapper dei quali potrebbe anche interessarmi la vita perché, in ordine sparso:
• hanno un telefono Android e quindi le loro storie si vedono a scatti e i font con cui scrivono sono orripilanti
• non sanno farsi fare delle foto decenti e/o 3/4 delle foto che pubblicano sono a petto nudo con sguardo sognante in cam
• hanno un’estetica raccapricciante.
Ma io sono solo un misero coglione che segue dei rapper, non sono né uno stratega della comunicazione degli stessi - ci sono passato e come Caparezza sono fuori dal tunnel, Dio mi abbia in gloria - né un manager o cose simili, quindi anche ‘ sti cazzi di come la penso e della mia incoerenza.
Ma se io stesso prediligo la conservazione intatta delle mie daltoniche pupille al potenziale interesse per la musica e/o la vita e/o l’opinione di qualche artista, ogni volta che mi affaccio sul fantastico mondo del rap americano, mi rendo conto che “tenerlo vero” e estetica sono paranoie che giusto qualche pisquano di Sesto Rondò o qualche hipster à la Tyler, The Creator possono farsi.
Qualche giorno fa ho parlato su Instagram con una ragazza che scrive di lavoro. “Di lavoro” perché non lo fa in Italia, ma a New York, dove appunto se fai lo scriba come mestiere può darsi che i seicento euro dell’INPS non costituiranno metà del tuo fatturato annuo. La ragazza in questione ascolta rap italiano, ma ovviamente si vive l’environment americano come io e chi condivide con me la sorte di essere nato ai piedi della Alpi e lì essere rimasto non può fare. Così, parlando del più e del meno, a un certo punto com’è ovvio che sia, siamo arrivati a parlare di questo video.
”Senti, ma perché cazzo la rapper più grande del pianeta non si preoccupa di fare un video girato bene? Cioè, perché ha postato questo video che da noi metterebbe - boh - Matteo Salvini?”. La realtà è che Matteo Salvini ha un utilizzo molto più simile ai social di 50Cent o Snoop Dogg piuttosto che Gemitaiz o TonyEffe. La risposta di questa amica è stata: “Be’, perché in America a nessuno frega un cazzo di perché giri, l’importante è girare, semplicemente. È più importante essere famosi, non il perché lo si è”.
Non so quanti anni abbiate voi che leggete, se vi sia mai capitato di scrivere per qualche piccolo blog ai tempi di Facebook e dover poi elemosinare in giro per pagine tipo “Sei di Vibo Valentia se…”, con 50k like, la condivisione dell’articolo perché venivi pagato a click. Io l’ho fatto, sono abbastanza vecchio per averlo fatto - ma anche abbastanza giovane per averlo dovuto fare in cui dignità è solo la parola prima di dignitario e dignitoso sullo Zanichelli. Bene, nel lontano 2009, 2010 quella delle pagine Facebook era una guerra e a un certo punto alcuni miei amici pensarono di farne un business: costruiamo una pagina di immagini divertenti (meme? what’s that shit?), facciamola crescere, poi vendiamola a uno che ha un sito e vuole farlo arrivare a quante più persone possibili. E questa cosa fruttava davvero.
Bene, io di questa pratica ho sempre pensato fosse una cosa poco etica, una “truffa” ai danni dei poveri cristiani che avevano messo like alla pagina “Per tutti quelli che odiano la propria suocera”. E questo è il motivo per cui io sono povero e invece chi lo ha fatto no.
Ma ho sempre pensato così, fino a che un giorno non ho avuto la sciagurata idea di mettere like, in rapida successione, a Snoop Dogg e 50Cent e lì allora mi si è aperto un mondo.
Ancora oggi Snoop Dogg condivide cose del genere
Mentre 50 altre brillanti meme come
Ed è una cosa che mi ha sempre torturato: davvero 50Cent e Snoop Dogg hanno bisogno di veicolare la loro immagine prendendo i like dei loro coetanei che però non hanno un passato di droghe o proiettili in corpo? Evidentemente sì.
È comunque qualcosa della quale non riesco a darmi una spiegazione logica, ma tutto ciò che questo mi ha portato a fare come riflessione è una sola: Gué Pequeno è davvero il più americano degli italiani.
Non c’è una vera riflessione da fare su questo fenomeno, alla fine è un ragionamento molto semplice: un milione di like per un meme per Snoop Dogg è meglio di 990k like per una foto del nostro amico già Snoop Lion. E la realtà è che non abbiamo mai capito un cazzo di come si appare americani: niente foto in analogico, niente bandane, niente post cancellati e immagini bianche. Ma solo e soltanto business, clout, reach.
Fin da ragazzino “fare l’americano” era il sogno di ogni mio amico in compagnia che avesse anche solo scritto due rime. Ognuno di noi, negli infiniti pomeriggi stesi su divani ammuffiti guardando i Boondocks o i video di WorldStarHipHop si ripeteva: “Se fossi nato a Los Angeles sarei ricco, invece sono nato qua”, alternando Los Angeles a New York, Chicago, Detroit e via discorrendo. Dagli americani copiamo tutto: rime, vestiti, trend, modi di dire. Eppure non l’estetica da shitposter.
Persino chi, come Lil Baby, ha un profilo più simile per contenuti a un rapper italiano, a livello estetico ha una cura pari a zero, nel suo profilo ci sono un paio di foto che - se avessero me come soggetto - probabilmente sarebbero nel cimitero della gallery del mio iPhone, senza mai vedere la luce. Neppure in gruppi Whatsapp selezionati.
Le risposte che mi sono dato sono diverse, la principale probabilmente ha a che fare con target e pubblico: non è detto che il fan di Lil Baby sia coetaneo dello stesso, anzi, è molto probabile che - oltre agli onnipresenti adolescenti - può capitare che parte degli utenti attivi abbia il doppio degli anni di chi posta e che ciò che è online debba essere chiaro e comprensibile anche a loro. Ma è solo un’elucubrazione, perché mi sono detto che il giorno in cui studierò i grafici di un profilo Instagram sarà anche il giorno in cui mi costruirò un letto in mogano.
Per la prima volta non ho una risposta, ma è un tarlo che davvero è almeno dieci anni che mi affligge: perché i rapper americani hanno così poca cura dei propri profili sui social?
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Avete appena letto: gli effetti dell’isolamento su un giovane maschio di 25 anni. Spero vi sia interessato, a breve esce la prossima puntata che - spoiler - sarà su Travis Scott, ma non sulla sua musica.
Specie per una puntata come questa, mi farebbe piacere discutere con voi, dunque: se avete cose da dire, potete rispondere a questa mail e/o scrivermi in direct su Instagram. In questi giorni ho un po’ snobbato tutto, ma prometto che recupero.
A presto, un abbraccio.