Ci eravamo lasciati prima della fine dell’anno con un po’ di amaro in bocca, iniziamo questo 2023 con un articolo che se fosse un video di YouTube della prima metà degli anni ‘10 si chiamerebbe “Questo video non lo volevo fare”.
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Non ho TikTok. Nel senso, ho l’app scaricata sul mio telefono, fino a che non abbiamo deciso con il podcast che ho sul calcio di pubblicare i video su YouTube non mi ero mai loggato in vita mia, poi ho fatto un profilo per così dire “aziendale”, ma non lo apro mai se non per caricare video o seguire le discussioni che si creano sotto i nostri contenuti.
I miei amici lo sanno pertanto quando devono mostrarmi qualcosa usano, solitamente, la funzione di scaricare il video e mandarlo nella nostra chat in comune.
Non credo che le mie abitudini social siano interessanti, nonostante in queste pagine abbia fatto trasparire che reputi degno di nota ogni minima cazzata mi accada (tipo rimaner chiuso fuori di casa o comprare una foto senza sapere chi siano i componenti della foto stessa), ma era per dire che - nonostante ci siano molti altri inciampi che ho vissuto con i social del momento - TikTok è il primo social che mi ha fatto pensare: “Ok, siamo arrivati” e accettare con un profondo senso di sollievo che non dovevo sapere cosa succedesse ovunque, che potevo ignorare parte di quello che mi succede intorno.
Bene, per la prima volta in vita mia, ieri, mi sono arrivati cinque link di TikTok, in cinque chat diverse. Sarebbe più corretto dire che mi è arrivato cinque volte lo stesso link, ma presto capirete.
Il titolo è ovviamente una boutade, non so quando davvero si possa dire di essere virali su TikTok, ma c’è questo video che ha qualcosa come 6mila like e 50mila views, che usa il mio (bel) faccino per lo scopo.
Non credo che TikTok si possa embeddare negli articoli, pertanto vi lascio qui il link.
Questo video è un estratto di un’intervista che a breve compirà dieci anni. È la prima intervista video in cui ho messo la faccia, andavo ancora al liceo ed è girata nello studio che frequentavo perché ci registravano alcuni dei miei amici e/o delle persone che stimavo artisticamente. Credo - ne sono abbastanza sicuro ma non voglio fare il Pippo Baudo - che sia la prima intervista in assoluto di Tedua, persona che ho conosciuto perché era sul nome di tutti nella micro bolla del rap genovese e soprattutto perché Zero Vicious, il suo produttore all’epoca, era una delle persone che frequentavo di più e che mi aveva anticipato che “Medaglia D’Oro”, l’EP di Tedua e Vaz Te prodotto interamente da lui, sarebbe stato un piccolo culto (spoiler: almeno per noi lo è stato).
In studio ci sono anche Demo, non sono sicuro si veda nell’intervista, ma lo studio era suo pertanto la sua presenza è più che scontata, e Bresh, altra persona che conoscevo da prima del rap per una serie di questioni di amicizie in comune e geografiche che non starò a specificare.
In quest’intervista c’è tutta la nostra ingenuità, che mi fu chiara fin da subito: c’è la mia presenza proprio “fisica” che oggi mi rendo conto essere tutt’altro che necessaria, c’è un modo ingenuo e fastidioso di fare le domande a un emergente come se fosse un big (“progetti futuri”, “separazione uomo-artista”, in pratica è la copia di un’intervista standard perché all’epoca pensavo che le interviste si facessero così), ci sono delle scenette per rendere “fresco” il risultato, che in realtà sono cringe (io che entro in studio mentre lui sta registrando è una cosa che decidemmo a tavolino trascinati dall’entusiasmo di Tedua, che voleva far vedere la musica oltre che le sue parole, un nobile intento, non sapevamo come si scrivesse una cosa del genere). Ora, sono felice di aver fatto questa cosa, mi è servita soprattutto a capire cosa non dovessi fare, a ricevere feedback, mi ha aperto piccole porte. Già un paio di anni dopo, quando in simultanea decidemmo tutti di trasferirci a Milano, ci accordammo poi per far “sparire” quell’intervista, perché ce ne sarebbe stata un’altra, fatta meglio, più maturi. Non so se quell’intervista ci sia mai stata, fatto sta che rimossi da YouTube (mettendo il video privato) quell’intervista.
Qualche anno fa un canale YouTube l’ha ricaricata integralmente. Non so come sia possibile, facendo ovviamente più views di quanto ne abbia il canale originale su cui venne pubblicata l’intervista e rilanciando alcuni di questi spezzoni nell’etere dell’Internet, rendendoli indelebili.
Quell’intervista uscì per il mio blog, il mio magazine, il mio piccolo sito che mi ero costruito con Wordpress che decisi di chiamare 33 Giri, nonostante non avessi neanche mai visto un vinile in vita mia.
Negli anni con questo sito conobbi persone che ancora oggi sono miei amici, feci mille esperimenti, tentativi, contest, concorsi, interviste, prove di format. Mi improvvisai fotografo e videomaker, provai a intraprendere i miei primi tentativi di accordi commerciali (per esempio, i vestiti che ho nel video dell’intervista di Tedua, mi vennero “prestati” da un piccolo brand genovese, che non credo esista più. Non mi ricordo cosa ottenni in cambio, credo niente).
Feci anche le mie prime esperienze milanesi, purtroppo ho perso i dati di accesso a quel canale (dopo aver pubblicato questo articolo proverò a recuperarli), ma poco prima della nascita di Roccia Music salii a Milano per intervistare Achille Lauro, girai il video da solo, Federico Merlo mi aiutò per un intero pomeriggio a montarlo mostrandomi le infinite vie del montaggio e presi anche le mie prime delusioni lavorative.
Grazie a questo sito, ho davvero girato l’Italia, intervistato artisti di cui non me ne fregava un cazzo ma che negli anni ho imparato a conoscere o che addirittura negli anni ho ritrovato nel mio percorso (non solo rap). Ho fatto un piccolo stage da pendolare in un ufficio stampa che all’epoca mi sembrava il modo più facile per avere CD e biglietti per i concerti gratis, ho conosciuto i ragazzi di Rapburger e poi da lì è iniziata la vita che mi ha portato a Milano e fare quello che faccio (ovvero? boh).
Tutto questo pippone per dire che quegli articoli - che non esistono più su internet se non in piccolissima parte - e tutte quelle esperienze sono cose che non ricordo lucidamente e che in parte mi imbarazzano molto. Ma che al contempo sono felice che siano esistite perché - tra me e me - mi hanno insegnato tanto, mi hanno fatto capire che se mi fossi sbattuto forse avrei potuto dire la mia, scrivere di cose di cui volevo scrivere.
Quel sito mi ha fatto terminare amicizie per la mia linea editoriale molto rigida, come se avesse un valore quello che scrivevo, all’epoca tutti pensavamo di sì, oggi mi fa ridere.
Ecco, però, quell’innocenza e quell’ingenuità mi porta ad oggi, quando dieci anni dopo, un sacco di ragazzini che in quegli anni avevano poco più che la capacità di parola, possono usufruire di quei contenuti, completamente decontestualizzati.
Tra i commenti di quel TikTok c’è la richiesta del fondatore della pagina di mettere like per avere la pt.2, ma ci sono anche citazioni di parti del video (tipo l’outro, in cui Tedua - che all’epoca era ancora Duate - cita un rapper sempre di Studio Ostile per un inside joke) copincollate come fossero citazioni epocali, ma che sono sicuro che nessuno di loro capisca appieno. O almeno gran parte di loro.
Non c’è una vera morale, mi chiedo se sia mio diritto sperare che questo video non venga più riproposto (ma voglio davvero? Intacca in qualche modo la mia credibilità da adulto?) o se è giusto che una volta su internet quel pezzo della mia vita (fatto di errori e di cose che non rifarei mai più) rimanga disponibile, per tutti, come archivio. Tedua era così, Bresh era così e “l’intervistatore”, come viene citato, era così. La mia paura più grande - ma questi sono problemi di ego - è che per molti quello non sia un personaggio del passato, ma che non conoscendone l’evoluzione, resti statuario così. Un ragazzino brufoloso che ci teneva che venissero riprese le sue Nike SB perché faceva street e che voleva solo intervistare i rapper del momento, almeno quelli raggiungibili.
Mi fa tenerezza, un po’ schifo, e un po’ mi rende orgoglioso. Vorrei che a farne i conti fossi solo io e invece, c’è Tik Tok.
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Grazie della lettura, spero di aver citato tutti coloro i quali erano da citare, se non vi ho citati sappiate che non è cattiveria: a volte non l’ho fatto perché penso che anche voi abbiate diritto all’oblio e magari vi vergognate di quel periodo, a volte, invece, perché me lo sono dimenticato (per sbadatezza e non cattiveria). VVB.